Sito Pubblico del Social Forum di Terracina

Archivio per la categoria ‘NOTIZIE LOCALI’

Padroni e schiavi nell’Agro Pontino

Dal sito Internet http://mafie.blogautore.repubblica.it/2017/09/987/

PADRONI E SCHIAVI NELL’AGRO PONTINO

di Marco Omizzolo

“Siamo sfruttati tutti i giorni – afferma Singh Kulwinder – e se ci ribelliamo il padrone ci manda via. In campagna lavoro per raccogliere i ravanelli piegato sulle ginocchia tutto il giorno. Siamo come schiavi”. È una delle tante storie di lavoratori indiani sfruttati nelle campagne della provincia di Latina, ad appena cento chilometri da Roma.

Sono circa 30.000 e senza l’impegno della coop In Migrazione e della Flai CGIL, delle loro storie e dei responsabili del loro sfruttamento non si saprebbe nulla. Percepiscono in media 3,5 euro l’ora per lavorare tutti i giorni sotto caporale anche 14 ore al giorno a fronte dei 9 euro lordi l’ora che da contratto dovrebbe percepire per 6,30 ore di lavoro al giorno, con pagamenti che ritardano mesi. Subiscono violenze e intimidazioni e solo raramente trovano giustizia nelle aule di tribunale. Gli incidenti sul lavoro sono quotidiani, le malattie legate allo sfruttamento diffuse come anche gli incidenti mortali, soprattutto quando percorrono in bicicletta le lunghe miglia per recarsi sul posto di lavoro.

Ne ho fatto esperienza diretta lavorando come infiltrato per diversi mesi nelle campagne pontine. Ho visto la violenza del padrone e del caporale unita alla loro capacità di costruire un sistema organizzato fondato sulla tratta, lo sfruttamento e l’intimidazione. Espressioni di un potere che è mafioso in sé. Alcuni braccianti indiani sono obbligati a chiamare padrone il loro datore di lavoro e a volte a fare tre passi indietro e ad abbassare la testa quando si rivolgono a lui.

Alcuni guadagnano appena 300 euro al mese. “Io lavoro tutto il giorno – dice Hardeep Singh –. Vado in bicicletta al campo indicatomi dal caporale indiano con un messaggio su wup e lavoro dalle 7.00 fino a sera tardi. È molto faticoso e il padrone è sempre molto duro. Da contratto devo prendere quasi 9 euro l’ora, ma mi dà 3 o 4 euro”.

Alcuni lavoratori indiani per sopravvivere a questi ritmi massacranti sono indotti ad assumere sostanze dopanti, come già denunciato da In Migrazione, in grado di inibire la sensazione di fatica fisica e mentale. Assumono oppio, metanfetamine e antispastici per sopportare lo sfruttamento quotidiano. Una piccola parte di questi sta virando verso l’eroina, che peraltro acquistano nei mercati della droga campani, stabilendo un ulteriore legame tra il Pontino e la camorra.

Altri, i più fragili, si suicidano impiccandosi nelle serre o nei propri appartamenti, soprattutto quando non riescono a pagare i debiti maturati col trafficante o il caporale.

Si è così formato un sistema mafioso che unisce il trafficante indiano, il caporale indiano e il padrone italiano, insieme a vari faccendieri che sullo sfruttamento hanno costruito un business redditizio. Una mafia spietata dentro un sistema agromafioso già consolidato che è stato in parte contestato il 18 aprile del 2016, quando In Migrazione e la Flai CGIL con i braccianti indiani organizzarono il più grande sciopero di lavoratori stranieri degli ultimi decenni. Più di duemila lavoratori protestarono a Latina, di lunedì, contro lo sfruttamento e il caporalato. La più importante manifestazione antimafia sociale reale in un territorio in cui le mafie sono radicate da decenni.

Emblematico il caso del mercato ortofrutticolo del Comune di Fondi, la cui amministrazione non fu sciolta per mafia nel 2009 per responsabilità del governo Berlusconi, nonostante le evidenze dimostrate da un’accurata relazione del prefetto di Latina di allora, Bruno Frattasi. Davanti quel mercato si incontravano mafiosi come Gaetano Riina, fratello di Totò Riina, e Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone detto Sandokan, del clan dei Casalesi, insieme ad esponenti del clan Mallardo.

Le indagini svelarono un accordo che consentiva ai Casalesi e i loro alleati partenopei la gestione monopolistica attraverso la ditta “La Paganese” di tutti i trasporti dei prodotti ortofrutticoli da e per il centro Sud relativamente ai mercati siciliani di Palermo, Trapani, Catania, in parte anche Gela; e per i siciliani, il libero accesso e vendita di loro prodotti nei mercati della Campania e del Lazio cancellando la concorrenza.

Un accordo che consentiva loro anche di gestire un traffico internazionale di armi pesanti. Alla base dell’accordo ci fu un incontro a Reggio Calabria tra Antonio Sfraga, suo figlio Giovanbattista, Gaetano Riina e Antonio Venanzio Tripodo, ai vertici della ‘ndrangheta, per spianare la strada alla famiglia siciliana nel mercato di Fondi, il cui accesso era controllato proprio da Tripodo.

Oltre che sull’intimidazione e sullo sfruttamento questo sistema mafioso è favorito da intimidazioni a istituzioni, imprenditori, forze dell’ordine, giornalisti e magistrati. Una consorteria criminale frutto del coordinamento tra diversi clan e da mafie straniere, dunque, legittimata da decenni di irresponsabile sottovalutazione e connivenza di un’intera classe dirigente e solo recentemente intaccata dall’azione delle forze dell’ordine e della magistratura.

Sono le mafie pontine dei padroni e dei padrini, che riducono in schiavitù lavoratori e lavoratrici migranti, gestiscono traffici di droga e servizi necessari all’agrobusiness, riciclano milioni di euro, espressione di un network di interessi e relazioni mafiose che ancora godono di protezioni politiche altissime.

“Padroni e padrini”, a Fondi il convegno sulle mafie nel sud pontino

Dal sito Internet http://www.h24notizie.com/2017/06/padroni-padrini-fondi-convegno-sulle-mafie-nel-sud-pontino/

“PADRONI E PADRINI”, A FONDI IL CONVEGNO SULLE MAFIE NEL SUD PONTINO

Discutere di mafie e antimafia è sempre importante. Consente di approfondire l’analisi, aggiornare le conoscenze, migliorare le azioni di contrasto nei riguardi di un fenomeno che solo con la partecipazione consapevole dei cittadini e l’impegno concreto dello Stato può essere sconfitto. Affrontare il tema delle mafie e della loro capacità di condizionare settori nevralgici dell’economia e delle istituzioni costituisce sempre una necessità irrinunciabile. Questo è però particolarmente vero in quei territori in cui le mafie sono presenti da decenni e che per anni invece sono stati considerati liberi dal fenomeno. Una forma di negazionismo in realtà funzionale al processo di insediamento e radicamento delle mafie in quegli stessi territori. Si è voluta tenere bassa l’attenzione, sminuirne la portata, in alcuni casi si sono anche gravemente minacciati giornalisti, associazioni e politici che invece denunciavano, nel merito, la presenza di una consorteria criminale dentro la quale mafiosi, padroni, sfruttatori, imprenditori collusi e notabili corrotti sedevano dalla stessa parte del tavolo.

Per questa ragione il prossimo convengo organizzato il giorno 1° giugno a Fondi, in provincia di Latina, presso il bellissimo Palazzo Caetani in corso Appio Claudio 11, alle ore 17.30, dal titolo Padrini e padroni nella provincia di Latina – analisi e contrasto alle mafie, organizzato da Reti di Giustizia – il sociale contro le mafie, Tempi Moderni aps e con il patrocinio del Parco Naturale dei Monti Ausoni e Lago di Fondi, è di particolare importanza.

Non si tratta solo di un convegno al quale parteciperanno personalità note del giornalismo, dell’associazionismo e delle istituzioni, impegnate da anni contro le mafie e i loro interessi. È invece il tentativo di coinvolgere la cittadinanza attraverso un’alleanza civile contro la presenza e la prepotenza di padroni e padrini che da decenni sono presenti nel sud pontino e hanno fatto di città meravigliose come Fondi, Formia, Gaeta e altre, l’avamposto dei loro affari e traffici. Al convegno parteciperà il questore di Latina, dott. Giuseppe De Matteis, il sociologo Marco Omizzolo, autore de “La Quinta Mafia” avente ad oggetto i principali fatti di mafia e le azioni contro la stessa messe in campo negli anni ‘80, Fabrizio Marras di Reti di Giustizia contro le mafie e Paolo Borrometi, giornalista, collaboratore di Articolo21 e da anni impegnato nella denuncia, attraverso i suoi articoli, degli affari delle mafie nel Mercato Ortofrutticolo di Vittoria. Interverrà anche il responsabile legalità della CGIL di Frosinone e Latina, Dario D’Arcangelis, mentre a moderare è stata chiamata la giornalista de L’Espresso, Floriana Bulfon.

Le mafie nel pontino ci sono da decenni. E non solo alcune mafie. Sono presenti i Moccia, gli Alvaro, il clan Ciarelli-DiSilvio, i Casamonica, i Cava, i Mallardo, i Crupi e molti altri. Chianese era uso trascorrere diversi mesi a Sperlonga nella sua lussuosa villa. C’è il clan dei Casalesi, la mafia siciliana, la ‘ndrangheta, la Sacra Corona Unita, la Camorra e molte sue costole. E poi ci sono le nuove mafie che sono in fase di costituzione. La provincia di Latina è il luogo in cui ha trovato la morte Don Cesare Boschin, incaprettato nella sua canonica, noto per le sue denunce contro il traffico internazionale di rifiuti che interessava la discarica di Montello, intorno alla quale era certa la presenza dei casalesi a partire da Carmine Schiavone e spesso anche di Francesco Schiavone. E poi del tristemente noto “caso Fondi”, unica amministrazione e non essere stata sciolta per mafia nonostante una voluminosa e dettagliata relazione dell’allora prefetto Frattasi (2008) e due dichiarazioni favorevoli allo scioglimento dell’allora ministro degli Interni, Maroni (governo Berlusconi). Fondi e il suo MOF, il Mercato Ortofrutticolo. Una delle realtà commerciali e imprenditoriali più importanti per l’ortofrutta d’Italia e d’Europa. Davanti a quel gigante dai piedi d’argilla si ritrovavano Gaetano Riina, fratello di Totò Riina, e Nicola Schiavone, figlio di Carmine Schiavone detto Sandokan, tra i fondatori del clan dei Casalesi. Le indagini portarono alla luce il sodalizio criminale tra i casalesi, i Mallardo e i corleonesi per la gestione di vari mercati ortofrutticoli del Sud Italia dalla Sicilia a Fondi. I clan campani fungevano da service per trasporti e logistica mentre i mafiosi siciliani fornivano i prodotti agricoli. E poi soldi su soldi. Le mafie hanno riempito casseforti e armadi di soldi sporchi poi ripuliti attraverso attività commerciali e imprenditoriali di varia natura (grandi centri commerciali, piccole attività imprenditoriali, attività di scommesse…). Camion che trasportavano frutta e poi armi e droga probabilmente portavano all’estero anche denaro mafioso, frutto di rapine, estorsioni e traffici illeciti di varia natura. E ancora il ciclo illegale del cemento e dei rifiuti.

Ne “La Quinta Mafia” viene citata la discoteca Seven Up, alcova mafioso espressione di relazioni perverse anche con settori del mondo bancario, tanto da mandare in crisi per dissesto addirittura l’allora Banca Popolare di Gaeta (1983). Le conseguenze sul lavoro dell’agire mafioso sono sempre state drammatiche. Ancora ne “La Quinta Mafia” viene ad esempio ricordato come già nel lontano 1982 solo nel pontino si contavano 20 vittime di lavoratori deceduti per via di condizioni di lavoro pericolose e ben 3.400 incidenti, in alcuni casi anche gravi, avvenuti a danno di lavoratori impiegati in aziende mafiose.

Questa non è solo cronaca. È un metodo mafioso e un processo di insediamento e radicamento che è affaristico ma anche politico. Le mafie comprano non solo il silenzio ma anche il consenso. Migliaia di voti fatti girare, come fogli di carta, da un candidato ad un altro, solo per tutelare i propri affiliati, interessi, affari. E il consenso troppo spesso passa attraverso pericolose frequentazioni tra politici locali e boss mafiosi. A Latina ad esempio alcuni deputati di destra amavano farsi vedere sotto braccio con il boss di turno (vedi clan Ciarelli-Di Silvio). Quello stesso clan che per anni ha “gestito” i suoi affari milionari condizionando direttamente le attività del Latina Calcio. Mafia e sport è un’alleanza che nel pontino vige da anni, spesso con diramazioni pericolose che arriverebbero fino alle istituzioni più alte del mondo del calcio. Riciclaggio, spaccio di droga e ricerca del consenso sono andate sempre a braccetto.

Parlare di mafie nel pontino significa discutere anche di sfruttamento lavorativo e caporalato, con riferimento in particolare ai braccianti soprattutto indiani. Uomini e sempre più anche donne costrette a lavorare 12 ore al giorno per ricevere appena 3,50 euro l’ora. Obbligati a chinare la testa, a chiamare padrone il loro datore di lavoro, a subire ricatti e violenze e a non denunciare quasi mai infortuni anche gravi. La violenza del padrone è del tutto simile a quella del padrino. Una situazione denunciata spesso da In Migrazione e dalla FLAI CGIL. Il fenomeno del doping usato dai lavoratori per non sentire le fatiche nei campi è diffuso e drammatico, come anche le violenze del padrone/padrino che agisce con modalità mafiose fino a generare la riduzione in servitù o schiavitù del lavoratore. Anche di questo si discuterà il 1° giugno. Mettere insieme questi due aspetti, senza confonderli ma analizzandoli invece in relazione alle relative interazioni consente di comprendere le modalità proprie di una mafia pontina in fase di ristrutturazione e i suoi vari interessi.

Pochi gli interventi contro il sistema mafioso pontino dei deputati pontini. L’On. Fazzone, ad esempio, membro della Commissione Parlamentare Antimafia, non si è mai contraddistinto per un particolare impegno su questo fronte. Neanche quando la Commissione Antimafia, sollecitata sul tema del caporalato e della tratta in seguito alla pubblicazione del dossier “Doparsi per lavorare come schiavi” della cooperativa In Migrazione e in seguito all’impegno dell’On. Mattiello, decise di incontrare le autorità locali in Prefettura. Tutto sotto controllo disse. La mafia c’è ma non crea problemi. Un po’ come quei politici che proprio durante lo scontro istituzionale sullo scioglimento dell’amministrazione comunale di Fondi, definirono i membri della Commissione d’Accesso di quel Comune (uomini delle forze dell’ordine di primissimo livello), “pezzi deviati dello Stato”. Una storia nota.

La storia recente nel pontino è fatta anche di arresti eccellenti (Cusani ad esempio, ex presidente della Provincia e responsabile delle affermazioni sopra menzionate sulla Commissione d’Accesso al Comune di Fondi), di contrasto giudiziario all’economia mafiosa con il sequestro di numerose loro attività. A queste azioni si somma un rinnovato attivismo sociale e sindacale. Il 18 aprile del 2016 più di duemila braccianti indiani, sollecitati e aiutati da In Migrazione e dalla FLAI CGIL, scioperarono e manifestarono sotto gli uffici della Prefettura contro lo sfruttamento e la tratta. Migliaia di ragazzi partecipano alla giornata della memoria e contro le mafie del 21 marzo, nelle scuole si entra con maggiore facilità a parlare di questi temi. Nuove amministrazioni governano città da sempre vittime del lerciume mafioso e dei relativi interessi. Latina fa da capofila in tal senso. Buone le aspettative e gli impegni, attendiamo le conferme.

La storia delle mafie e delle sue connivenze nel pontino è però assai lunga e non basta qualche giornata di sole per annunciare una nuova primavera. Di certo, a pochi giorni dai 25 anni dalla strage di Capaci, parlare di mafie e antimafia, di legalità e giustizia sociale, di diritti e di libertà nel pontino è particolarmente importante. Non perché tutto sia stato già fatto, ma perché molto c’è.

I peggiori inquinatori sono i militari, sia in tempo di guerra che in tempo di pace

Recentemente abbiamo letto questo interessante articolo su un organo di stampa locale online: http://www.latinacorriere.it/2017/02/15/latina-scontro-biomasse-biogas-lisde-lezione-alla-recall.

Le osservazioni formulate dal Dr. Milo sono condivisibilissime, soprattutto quelle contenute nel terzo periodo della lettera, ma…

Ma, come spesso avviene nel mondo dell’ambientalismo, della tutela della salute e della difesa dei consumatori, viene trascurato un concetto fondamentale: i peggiori inquinatori sono i militari.

La storia insegna: il più grande disastro ambientale italiano è avvenuto nel 1976, a Seveso. Che cosa produceva l’Icmesa, l’azienda coinvolta nell’evento? L’agente Orange, il defoliante che gli statunitensi utilizzavano per disboscare la giungla durante la guerra del Vietnam. Gli effetti di quel diserbante nel Paese asiatico si riscontrano ancora oggi, basta andare a visitare i vari musei nei quali sono conservati i feti deformi che hanno partorito e continuano a partorire le donne vietnamite.

Oppure, basta pensare a ciò che sta succedendo a Quirra, in Sardegna, o a quello che hanno subito e continuano a subire i militari italiani (i «nostri ragazzi», per utilizzare un linguaggio più comprensibile nella nostra provincia) che sono tornati dall’ex Jugoslavia (e ovviamente sappiamo ben poco di quello che sta subendo la popolazione ivi residente).

Le guerre sono le peggiori fonti di danni ambientali, ma non solo: anche gli esperimenti bellici.

Adesso il mondo dell’ambientalismo si scandalizza per ciò che continua imperterrito a proseguire a Fukushima, ma di quanto si è innalzata la radioattività sul pianeta in seguito alle centinaia e centinaia di esplosioni nucleari di prova che hanno effettuato le potenze belliche durante la Guerra Fredda?

È risaputo che l’attore John Wayne (e con lui un terzo di coloro che lavoravano alle riprese del film “Il conquistatore”) è morto di tumore perché gli yankee calcolarono male la velocità del vento ed il fallout radioattivo ricadde sul canyon dove si stava girando il film.

Quindi, alla luce di questi elementi, se si parla di difesa dell’ambiente, della salute e del territorio della nostra provincia, si deve cominciare dai pericoli militari, in particolare dalle servitù militari.

Quali sono le servitù militari presenti nella nostra provincia?

1) Il poligono di Nettuno. Vi vengono utilizzati proiettili ad uranio impoverito?

2) Il porto di Gaeta. Le navi militari straniere che vi attraccano sono a trazione nucleare? E se malauguratamente si verificasse un incidente ai motori, che cosa ci fanno i Comuni rivieraschi con la tanto agognata Bandiera Blu?

Oppure, vogliamo parlare delle armi chimiche che, alla fine della seconda guerra mondiale, gli Alleati buttarono al largo di Ischia? L’isola non è tanto lontana, in linea d’aria, dalle nostre coste.

Durante la seconda guerra mondiale, prima che si arrivasse alla realizzazione delle bombe atomiche, le armi di distruzione di massa erano le armi chimiche. Durante il conflitto fortunatamente non furono utilizzate, perché vigeva un accordo tacito in base al quale nessuno dei belligeranti le avrebbe impiegate. Però ogni potenza bellica le aveva con sé per adoperarle per reagire ad un loro utilizzo da parte dei nemici.

A Bari, in un contrattacco dell’aviazione tedesca contro la flotta alleata ancorata, fu colpita un’imbarcazione britannica che trasportava iprite. Le conseguenze furono catastrofiche, sia tra i militari, sia tra i civili, con i medici negli ospedali che non sapevano come curare i cittadini feriti perché gli angloamericani si rifiutavano di comunicare che si trattava di iprite.

Quando Roma fu bombardata nel 1943 nel quartiere San Lorenzo, il Papa si precipitò ad arrecare conforto agli sfollati e si affrettò a far dichiarare Roma “città aperta”, cioè al di fuori dei combattimenti.

Perché?

Perché le armi chimiche del regime fascista erano tenute nella città universitaria, a brevissima distanza da San Lorenzo…

Dopo la prima guerra mondiale, le potenze belliche si ritrovarono con gli arsenali pieni di armi chimiche. Come pensarono di smaltirle? Estrassero l’azoto, un loro componente fondamentale, e lo utilizzarono per i fertilizzanti. Da lì iniziò la moderna (moderna?) agricoltura, un’agricoltura dettata da logiche belliche: «Nel campo ci sono i parassiti? Sterminiamoli tutti con le armi chimiche».

La nostra provincia è stato il territorio ideale per sperimentare le nuove tecniche, in seguito alla bonifica della Palude Pontina. Gli effetti sull’ambiente persistono tuttora, e continueranno a persistere, se non si cambia regime.

Anche di tutto ciò si deve parlare, quando ci si erge a difensori dell’ambiente e della salute del territorio.

Perché ogni tanto si verificano eccessive proliferazioni algali nelle nostre acque marine?

Perché si verificano morie di pesci nei corsi d’acqua, oppure fenomeni di schiume e acque dalle strane colorazioni?

Qual è l’effetto dei pesticidi sulle nostre acque (marine, lacustri e fluviali)?

Come abbiamo scritto più sopra, i peggiori inquinatori sono i militari. Sia in tempo di guerra, sia in tempo di pace.

In tema di sperimentazioni belliche (o presunte tali), ci permettiamo di porre una domanda alle autorità sanitarie: sono presenti nella nostra provincia persone affette da morbo di Morgellons, e se sì, quante sono?

Ma il mondo dell’ambientalismo, della tutela della salute e della difesa dei consumatori deve capire e metabolizzare anche un altro concetto: il problema numero uno del pianeta non sono le guerre, non è la fame nel mondo, non è il riscaldamento globale.

Il problema numero uno è la chimica.

Non solo per i danni all’ambiente ed alla salute, ma anche perché gli attuali “padroni del vapore” sono coloro che hanno fatto profitti con la chimica.

Non a caso, una delle eminenze grigie della storia italiana del dopoguerra, Eugenio Cefis (qualcuno sostiene che fosse lui il vero capo della Loggia P2), appena poté abbandonò l’ENI per dedicarsi esclusivamente alla Montedison.

Ma quando si parte da questo presupposto, cioè che la chimica è il problema numero uno del pianeta, allora bisogna rimettere in discussione tutte le proprie certezze, o presunte tali.

Tempo fa suscitò scalpore la notizia per cui furono trovate tracce di antibiotici nelle fogne. Antibiotici che vi arrivavano tramite le urine umane.

Bene, da quello che sappiamo circa il 30% di ciò che viene utilizzato per la realizzazione degli antibiotici si trasforma in medicinale effettivo, il resto è scarto di produzione. In un periodo in cui si parla tanto di “economia circolare”, è ammissibile uno scarto di produzione di tale entità? E, soprattutto, quegli scarti vengono smaltiti come prescrive la legge?

Non solo: il famoso giuramento di Ippocrate prevede che non si debbano arrecare danni ai pazienti. Eppure, sfogliando i foglietti illustrativi dei medicinali, si finisce sempre per imbattersi, inevitabilmente ed invariabilmente, negli effetti collaterali o effetti indesiderati che dir si voglia.

I “padroni del vapore”, chi investiva in chimica e farmaceutica, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 finanziò pesantemente le facoltà universitarie di medicina, i cui studi e le cui ricerche finalmente decollarono.

Risultato?

Anzi, effetto collaterale?

I dottori della medicina “allopatica” il più delle volte sono dei puri e semplici somministratori di farmaci.

Con in più la creazione delle catene di Sant’Antonio, i vari servizi sanitari nazionali, che fanno gravare sui sani la spesa per la cura dei malati, a tutto vantaggio del banco, cioè… le aziende farmaceutiche.

Noi del Terracina Social Forum riteniamo che il nostro compito, ora più che mai, sia quello di andare al cuore dei problemi, sollevando quei veli che vengono tenuti volutamente davanti agli occhi e trattando quei temi “scottanti” che rimangono sotto traccia, ma che in realtà sono quelli veramente fondamentali.

È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.

Dal mondo dell’ambientalismo, della tutela della salute e della difesa dei consumatori vorremmo solo una cosa: una maggiore rapidità nell’entrare in sintonia. La realtà viaggia alla velocità della luce e camminare troppo lentamente è un lusso che non possiamo più permetterci.

Non solo: pure il mondo della scienza deve fare la propria parte, come hanno efficacemente sottolineato recentemente anche i nostri “maestri”, i neozapatisti del Chiapas.

I peggiori inquinatori sono i militari, sia in tempo di guerra che in tempo di pace, il problema numero uno del pianeta è la chimica.

La prevenzione – La Giornata mondiale dell’alimentazione

Il 16 ottobre è la Giornata mondiale dell’alimentazione.

Che cosa fa il Comune di Terracina per fornire informazioni ai cittadini sulla corretta alimentazione?

Nulla.

A parte, forse, dare il patrocinio a qualche associazione che organizza iniziative in occasione di tale data.

Eppure altri Comuni sono molto attivi su questo fronte.

Il Comune di Ferrara, ad esempio, ha pubblicato sul proprio sito Internet le 10 regole per una sana alimentazione: http://servizi.comune.fe.it/1619/le-dieci-regole-per-una-sana-alimentazione.

Il Comune di Nuvolera (BS) sul proprio sito ha pubblicato i consigli per la corretta alimentazione nella terza età: http://www.comune.nuvolera.bs.it/index.php?option=com_content&view=article&id=196:terza-eta-qualche-consiglio-per-una-corretta-alimentazione.

Il Comune di Pavia ha addirittura elaborato un progetto per la lotta contro la dipendenza da cibo e stili di vita non sani: http://www.retecittasane.it/news/Progetto_Pavia.pdf.

Il Comune di Terracina, invece, è latitante.

Eppure ci sarebbe molto da fare per tutelare la salute dei cittadini cominciando da ciò che si mangia.

Si potrebbero fornire informazioni dettagliate sulla dieta mediterranea, sui cibi più salutari, magari pubblicando sul sito Internet del Comune la piramide alimentare.

Si potrebbero realizzare campagne informative sui sintomi derivanti da carenze di vitamine e sali minerali, sulle caratteristiche e le proprietà delle farine, sugli effetti sulla salute dei prodotti alimentari raffinati.

Si potrebbero effettuare indagini conoscitive per esplorare le abitudini e le problematiche alimentari della popolazione residente e degli immigrati presenti sul territorio.

Si potrebbero realizzare campagne informative sull’equilibrio acido-base nell’alimentazione, sull’acidosi tissutale e metabolica, sui coloranti e i conservanti.

Si dovrebbero divulgare suggerimenti su come riconoscere il pesce fresco e ci si dovrebbe concentrare sui rischi derivanti dal mangiare pesce e carne cruda (in particolare, sui rischi del consumo di sushi e sashimi legati all’Anisakis), nonché promuovere la diffusione degli abbattitori casalinghi, che consentono di raggiungere rapidamente temperature molto basse, sanitizzando il pesce dal parassita Anisakis e consentendo di far passare un alimento bollente dal forno direttamente alla surgelazione, mantenendo inalterate le sue proprietà organolettiche.

Visti i recenti fatti di cronaca (un giovane di Sabaudia in gravi condizioni per aver mangiato un fungo nel bosco), si dovrebbero fornire accurate informazioni, possibilmente nelle scuole, sul riconoscimento dei funghi velenosi.

Nelle mense scolastiche si potrebbero somministrare cibi biologici e a km zero.

La lista dei progetti realizzabili potrebbe continuare a lungo. Ovviamente, si dovrebbe promuovere il più possibile il consumo di prodotti naturali, a km zero e di coltivazione biologica.

Sul punto, ci permettiamo di segnalare una pregevole iniziativa organizzata dalla Bottega Etica Alter-Azione di Terracina, una realtà inaugurata da poco nella nostra città e situata in via Zicchieri n. 2. La Bottega, infatti, ha stipulato con Green Pod, una piccola azienda agricola biodinamica di Pontinia, una collaborazione in base alla quale i residenti a Terracina e nei comuni limitrofi potranno ordinare la cassetta con i prodotti agricoli settimanali presso la Bottega stessa durante la giornata del sabato.

Per informazioni:

https://www.facebook.com/AlterAzioneBottegaEtica

https://www.facebook.com/GreenPodPontinia.

La Settimana europea per la mobilità sostenibile è finita… ma i problemi restano

Ripetiamo quanto già affermato in un precedente articolo:

nel microcosmo compreso tra Porta Napoletana e Badino che risponde al nome di Terracina, la Settimana europea per la mobilità sostenibile si traduce in:

a) dare visibilità ad uno o più assessori e consiglieri che spesso di viabilità e trasporti non ne capiscono niente, i quali di conseguenza…

b) si rivolgono alla società civile ed alle associazioni, le quali, a loro volta, prima si confrontano in interminabili riunioni-fiume e poi avranno il loro agognato momento di gloria, con il risultato finale che…

c) non si adotterà alcuna misura strutturale e di lungo periodo.

La Settimana europea per la mobilità sostenibile è finita, ma i problemi restano.

Anzi, peggiorano.

Prendiamo il Cotral, per esempio.

Volete conoscere gli orari dei bus da e per Terracina?

Al polo dei trasporti, nell’apposita bacheca a ciò destinata, gli orari non sono più presenti.

Tutto ciò, magicamente, proprio durante la Settimana europea per la mobilità sostenibile.

Tra l’altro, in quella bacheca gli orari, quando erano presenti, in alcune fasce orarie erano pure difficilmente leggibili, a causa del riverbero del sole sul vetro.

Ma se l’utente volesse conoscere gli orari, c’è sempre il sito Internet! Già, col piccolo-grande problema che nella pagina a ciò dedicata, se non si apre il menu a tendina col nome della città della quale si vogliono consultare gli orari, COME CAPITA PURTROPPO SPESSISSIMO, l’utente gli orari se li può tranquillamente dimenticare.

E degli abbonamenti per gli studenti, ne vogliamo parlare? I genitori, se vogliono acquistarli, devono per forza recarsi nelle stazioni ferroviarie di Latina o di Formia. Alla faccia della semplificazione.

In tanti anni, poi, ancora non siamo riusciti a capire quali siano le direttive aziendali riguardo ai bus che collegano Terracina alla stazione ferroviaria di Monte S. Biagio. Quale treno devono aspettare gli autisti, quello che proviene da Roma o quello che proviene da sud? E quanto tempo al massimo devono aspettare?

Mistero.

Ogni autista dà una risposta diversa.

Tra l’altro, perché far stazionare quei bus nel piazzale antistante alla stazione ferroviaria? Se i pullman aspettassero alla fermata sulla via Appia, sarebbe molto più utile per i viaggiatori, in quanto questi ultimi potrebbero anche salire sul primo bus di passaggio diretto verso la nostra città.

Non capiamo poi alcune logiche aziendali.

Nel periodo estivo, da anni, viene istituita alle 6:00 di mattina una corsa diretta per Roma (diretta vuol dire che percorre tutta la SS 148 Pontina senza transitare per Latina). Questa corsa è utilissima per i pendolari, perché non viene tenuta in servizio anche nelle altre stagioni?

Discorso analogo per un’altra corsa mattutina, quella che parte da Terracina alle 5:55, transita per Borgo Hermada e Latina ed arriva a Roma. Per qualche mese è stata introdotta una novità: il solo transito al capolinea di Latina, giusto il tempo per far scendere e salire i passeggeri. Quella corsa, infatti, si è sempre fermata circa 10 minuti nel capoluogo per poi ripartire alle ore 7:00. Quei 10 minuti, per i pendolari, SONO DECISIVI, perché consentono di evitare il traffico che si crea sulla SS 148 a partire dalle 7:30 invariabilmente all’altezza di Pratica di Mare e nei pressi del Grande Raccordo Anulare. Perché il solo transito per Latina, senza fermata, è stato annullato?

La Settimana europea per la mobilità sostenibile è una bella iniziativa, ma è altissimo il rischio che si trasformi in una sorta di passerella per politici ed associazioni lasciando sul tappeto totalmente irrisolti i problemi di vita quotidiana di chi usufruisce dei trasporti urbani.

Le logiche devono assolutamente cambiare.

Terracina deve cominciare a frequentare il futuro.

Il «turismo di qualità»

Strettamente connesso al tema dei «turisti inutili» è quello del «turismo di qualità», che ha tenuto banco sui social network per tutta l’estate 2016.

I terracinesi si lamentano perché nella loro città non vengono i turisti di qualità.

Ma chi sono i «turisti di qualità»?

Il parametro per definire il «turismo di qualità» è legato ad un fattore economico, cioè i turisti di qualità sono i ricchi?

A questa domanda ci siamo dati una risposta negativa: a Terracina non è mai venuto Umberto Eco, mentre da anni ci trascorreva le sue vacanze il boss camorristico Gaetano Marino. Quest’ultimo era notevolmente più ricco di Umberto Eco, quindi la ricchezza non è il parametro esatto per la definizione del «turista di qualità».

Tra l’altro, bisogna chiedersi perché Gaetano Marino veniva a Terracina mentre Umberto Eco no. Probabilmente il primo si trovava a suo agio nella nostra città, mentre il secondo si sarebbe sentito un pesce fuor d’acqua.

Da quest’ultima considerazione sono sorti ulteriori ragionamenti per determinare con un parametro oggettivo chi è il «turista di qualità».

Secondo il Terracina Social Forum è «turista di qualità» colui che quando si trova in spiaggia, su un lettino o su una sdraio, legge.

Si può anche stabilire una sorta di “scala”: è turista di bassa qualità colui che non legge, è turista di qualità mediocre colui che legge i tabloid o i quotidiani sportivi, è turista di buona qualità colui che legge i quotidiani o le riviste, è turista di alta qualità colui che legge i libri.

Trovato finalmente il parametro per la definizione del «turista di qualità», ci è tornato in mente ciò che ha detto una nostra amica romana proprietaria di una seconda casa a Terracina: «Quando vengo in vacanza, mi porto i libri da Roma, perché sebbene Terracina sia una città di 45.000 abitanti, c’è una sola libreria ed è piccolissima e poco fornita».

A questo punto sorge spontanea la domanda: come si può pretendere di ospitare turisti di qualità, se poi la città stessa non offre adeguati servizi?

Il problema è tutt’altro che da sottovalutare: sempre ragionando sulla cultura, un tema che è stato molto dibattuto anche in campagna elettorale, bisogna riflettere non solo su ciò che può fare l’amministrazione comunale, ma pure sugli spazi culturali che sono gestiti dai privati.

L’unica libreria è piccolissima e non ha neanche una sala per le presentazioni dei libri. Inoltre, in città c’è un enorme teatro, che però viene utilizzato per far vedere le partite della Juventus.

Chi gestisce gli spazi culturali privati ha delle grossissime responsabilità, perché se è vero che a Terracina la domanda di cultura è bassa, è altrettanto vero che chi “offre” può stimolare la domanda.

In pratica, è nato prima l’uovo o la gallina?

Nel 2011, quando in città erano riapparsi i contenitori per la raccolta differenziata, ad eccezione della frazione di Borgo Hermada, avevamo realizzato e distribuito dei volantini (https://terracinasocialforum.files.wordpress.com/2011/12/volantino-fronte-rid.jpg) in cui ci chiedevamo provocatoriamente, vista l’assenza dei raccoglitori della carta: «Gli abitanti del Borgo non leggono?».

Ora la domanda è: i terracinesi leggono solo durante l’infanzia e l’adolescenza, quando frequentano la scuola?

E come possono pretendere di intercettare il «turismo di qualità», se loro per primi non sanno quali sono le esigenze ed i bisogni dei turisti di qualità?

È il gestore del bar che seleziona la propria clientela. Se vede che gli avventori si ubriacano, fanno schiamazzi o giocano d’azzardo, li allontana.

Se invece vuole una clientela di qualità, crea un ambiente raffinato, confortevole ed elegante per intercettarli.

Il problema è prima di tutto mentale e culturale.

E se si parte dall’idea che «Terracina è la città più bella del mondo», per cui frotte di «turisti di qualità» debbano venire automaticamente, magari per pedalare avanti e indietro su una pista ciclabile che non porta da nessuna parte, allora si è veramente fuori strada.

I «turisti inutili»

Continuando a ragionare sulla mobilità sostenibile, visto che siamo nel pieno della Settimana europea ad essa dedicata, oggi riveliamo qual è la terza ragione per cui è stata realizzata la pista ciclabile sul lungomare di Terracina.

La spiegazione la danno i dati sulle presenze turistiche del 2015 nella nostra città, così come pubblicati sulla stampa locale: – 50% a giugno, -30% a luglio, costanti ad agosto.

Perché quei dati?

Perché era stata appena realizzata la pista ciclabile sul lungomare.

Quest’ultima è stata realizzata scientemente e scientificamente per modificare i flussi turistici.

Per capire il meccanismo, ci ha aiutato Facebook, grazie al quale ci siamo imbattuti nella frase «Sono calati i turisti inutili».

E chi sarebbero questi «turisti inutili»?

Il calo non si è verificato ad agosto, perché?

Perché i turisti provenienti da sud sono stanziali: affittano l’appartamento (per una settimana o due, non più per il mese intero come ai tempi d’oro), arrivano con l’auto, scaricano i bagagli, trovano un posto per la vettura e poi si muovono a piedi durante la vacanza.

La realizzazione della pista ciclabile, che ha tolto centinaia di parcheggi in riva al mare, non li ha danneggiati minimamente.

Chi ne ha subito le conseguenze, invece?

I bagnanti dell’entroterra, provenienti dalla provincia di Frosinone, i quali vengono solo nel fine settimana, soprattutto la domenica. Per loro è fondamentale parcheggiare vicino al mare, perché vengono con i figli piccoli, le sdraio e l’ombrellone. Con la realizzazione della pista ciclabile, per loro le alternative sono diventate:

1) posteggiare al parcheggio del mercato settimanale, caricare famiglia, armi e bagagli sulla navetta elettrica gratuita, a fine giornata ricaricare famiglia, armi e bagagli sulla navetta per poi finalmente risalire su un’accoglientissima auto rovente, in quanto in quel parcheggio non c’è un filo d’ombra;

2) andare a Sperlonga, a San Felice Circeo o a Sabaudia.

Ci ha colpito molto quella frase: «Sono calati i turisti inutili».

Non esiste il turista inutile, Terracina dev’essere una città accogliente, pronta a ricevere chiunque, di qualsiasi provenienza e di qualsiasi nazionalità.

È una contraddizione chiedere che il centro storico alto, l’antica via Appia e la festa della Madonna del Carmine siano riconosciuti patrimonio Unesco, quindi patrimonio dell’umanità, e poi parlare di «turisti inutili».

Il mare è un bene comune.

Terracina, in quanto città turistica, deve accogliere tutti, senza distinzioni.

Di conseguenza, ecco un’altra nostra proposta per la Settimana per la mobilità sostenibile (in realtà, è una proposta che abbiamo formulato già da diversi anni):

attivare un servizio estivo di pullman gran turismo la domenica e nei giorni festivi per i bagnanti provenienti dalla Ciociaria, organizzando un’apposita conferenza di servizi con i Comuni interessati; prevedere prezzi popolari, abbonamenti, convenzioni con gli stabilimenti balneari e/o con ristoranti e pizzerie, ecc. Ciò riduce l’inquinamento, il traffico ed i rischi di incidenti stradali e migliora il benessere dei turisti, costituendo un’alternativa al viaggio in auto.

I provinciali, la noia e le piste ciclabili

La nemica numero uno del provinciale è la noia.

Il provinciale non sa mai che cosa fare, non sa mai di che cosa occuparsi durante il tempo libero.

«Che cosa faccio questa sera? Ah, sì, c’è il Terracina Yoga Festival, visto che non ho nient’altro di meglio da fare andrò lì».

Si va al Terracina Yoga Festival perché non si ha nient’altro di meglio da fare…

E poi si riempiono la bocca della parola “cultura”. Già, perché il problema è prettamente culturale.

Oppure: «Il Terracina Yoga Festival è stato organizzato da un mio caro amico, se non ci vado si offende».

Oppure ancora: «Il programma del Terracina Yoga Festival è molto interessante, però l’organizzatore è un comunista, quindi non ci vado proprio».

Difficile trovare qualcuno che va al Terracina Yoga Festival giusto per assistere alla parte specifica del programma che lo interessa, come si comporterebbe un vero “cittadino”, anziché un provinciale annoiato.

Purtroppo è il destino di chi vive in provincia: trovare qualcosa da fare durante il tempo libero.

E così in una città di 45.000 abitanti, la terza della provincia e la sedicesima della regione, la «città più bella del mondo» stando ad alcuni manifesti affissi poco più di un anno fa, poiché imperano tali logiche “provinciali” non si sa mai che cosa fare nel tempo libero e si finisce per fare… i nuotatori!

Già, i nuotatori, cioè fare le cosiddette “vasche” lungo viale della Vittoria e via Roma.

Ma da un anno a questa parte, in città, esiste un’alternativa al “viale”!

Si possono fare le “vasche” in bicicletta, sulla pista ciclabile del lungomare.

Già, perché questa è la seconda ragione per cui è stata realizzata quella pista ciclabile: fornire ai provinciali annoiati un altro luogo nel quale fare le “vasche”.

La prima ragione per cui è stata realizzata era l’ottenimento della tanto agognata Bandiera Blu, come abbiamo evidenziato qui: https://terracinasocialforum.wordpress.com/2015/04/22/terracina-come-iwo-jima.

C’è poi una terza ragione che sveleremo in un prossimo articolo.

La seconda ragione l’abbiamo scoperta una domenica mattina, quando abbiamo visto una delle più sfegatate sostenitrici della pista ciclabile percorrerla in bicicletta fianco a fianco con il suo compagno. Una coppia così romantica… Ci hanno ricordato Riccardo Cocciante e la sua “In bicicletta”. Ci mancava solo che si scambiassero delle effusioni, sempre pedalando, ovviamente.

Le “vasche” sulla pista ciclabile…

Ma in tutte le città sane del mondo, le piste ciclabili non si realizzano né per ottenere le Bandiere Blu, né per dare ai cittadini un luogo dove fare le “vasche”.

In tutte le città sane del mondo, le piste ciclabili si realizzano per togliere auto dalle strade e dare ai cittadini la possibilità di sfruttare una forma di trasporto alternativa, salutare e non inquinante, TRASFERENDOSI IN BICICLETTA DA UN LUOGO AD UN ALTRO.

Ecco anche perché in tutte le città sane del mondo vengono realizzate DELLE RETI di piste ciclabili: perché i cittadini devono raggiungere il posto di lavoro, la scuola, l’ufficio postale, la banca, la palestra, ed i percorsi per tali spostamenti devono essere quanto più capillari possibile.

Non solo: in una città sana, la pista ciclabile da Borgo Hermada arriverebbe fino a Badino, cioè fino al mare. Anche in questo caso la logica era creare un luogo dove fare le “vasche”?

Oppure ancora, guardando più indietro nel tempo, una pista ciclabile non si realizza per cercare di impossessarsi di contributi e finanziamenti regionali o comunitari.

In una città sana, in qualsiasi città sana del mondo, la logica e la finalità della realizzazione di una pista ciclabile è del tutto diversa rispetto alla «città più bella del mondo», perché si cercano di applicare i dettami della mobilità sostenibile.

Ma a Terracina imperano i provinciali con la loro cultura…

Terracina ai terracinesi!

Mobilità sostenibile: che cosa dovrebbe fare la Cotri

La Settimana europea della mobilità sostenibile ha anche lo scopo di incentivare l’utilizzo dei trasporti pubblici.

Come realizzare tutto ciò a Terracina?

Si deve partire da un’analisi di mercato, chiedendosi chi usufruisce dei trasporti urbani.

Le categorie di fruitori sono:

– gli studenti;

– i pendolari;

– gli indiani;

– gli anziani e coloro che non hanno un’auto;

– i turisti.

Riguardo agli studenti, le loro richieste sono abbastanza soddisfatte.

Quanto ai pendolari, grazie all’ex commissario prefettizio finalmente gli orari Cotri sono coordinati con gli orari dei bus Cialone sostitutivi del treno. Non è stata però ripristinata la corsa mattutina della linea D che consentiva ai pendolari di Borgo Hermada e San Vito di prendere il Cialone delle 6:27.

Riguardo agli indiani, prima di tutto il sito Internet www.lacircolare.it non è tradotto in lingue straniere. Inoltre, in alcune fasce orarie le strade Migliare e la SS Pontina sono percorse da decine di braccianti indiani in bicicletta. Si devono istituire apposite linee con orari concordati con gli imprenditori agricoli e con i rappresentanti della comunità indiana, anche per evitare i frequenti incidenti che vedono coinvolti gli asiatici.

Per gli anziani e coloro che non hanno un’auto, una “misura strutturale” semplicissima risolverebbe molti loro problemi: poiché il capolinea Cotri è vicino all’ospedale, far transitare tutte le linee per il nosocomio, in modo da favorire coloro che devono recarvisi (ivi compresi gli studenti del Corso di laurea in Scienze infermieristiche). Perché costringere queste persone a dover utilizzare due bus per raggiungere l’ospedale? Sono anni che il Terracina Social Forum chiede, insistentemente, un intervento del genere; cambiano gli assessori, ma il problema resta.

Riguardo ai turisti, oltre al fatto che il sito Internet www.lacircolare.it non è tradotto in lingue straniere, al capolinea le informazioni sono solo in italiano e sui bus non è presente materiale cartaceo in lingua straniera.

Gli orari festivi dovrebbero essere coordinati con gli orari dei bus Cialone. Inoltre, va introdotto il biglietto giornaliero, il biglietto valido tre giorni e l’abbonamento settimanale. Quando i bus provvisti di macchinetta per la stampa dei biglietti sono in manutenzione e vengono utilizzate le vecchie vetture, gli autisti dovrebbero assicurarsi di avere a bordo i biglietti cartacei della durata di un’ora, per favorire sia i turisti che arrivano alla stazione di Monte San Biagio, sia i vari pendolari che da tale stazione devono recarsi nelle frazioni, viaggiando su più “circolari”.

All’interno dei mezzi Cotri devono essere presenti mappe della città per i turisti, si deve consentire il loro utilizzo da parte dei possessori di biciclette pieghevoli e le corse dovrebbero essere aumentate, anziché ridotte, a Pasqua e durante i ponti primaverili, nonché in occasione di festività religiose, eventi particolari e mercati settimanali.

A luglio e agosto vediamo pochissime auto posteggiate nel parcheggio del mercato settimanale, segno che non è noto ai turisti che da lì partono le navette elettriche gratuite per il mare ed il porto. Lungo la SS Pontina ed in altri luoghi della città devono essere installati cartelli che segnalano questa opportunità. La stessa informazione va fornita tramite i tabelloni elettronici presenti in vari punti della città. Per agevolare i bagnanti, nel parcheggio andrebbero collocati alberi o, meglio ancora, pannelli solari col duplice scopo di produrre energia pulita e fare ombra. Bisogna mettersi nei panni dei bagnanti! Non è piacevole, soprattutto se con bambini piccoli, salire su un’auto rovente in quanto lasciata per ore al sole.

Si potrebbe inserire la Cotri nel circuito Metrebus regionale, nonché stipulare convenzioni con gli esercizi commerciali, con sconti per i cittadini dotati di abbonamento per i bus. Vanno introdotti gli abbonamenti annuali, con sgravi fiscali per chi li acquista, e la possibilità di comprare i titoli di viaggio tramite Internet o app. I biglietti dovrebbero poi essere stampati in carta riciclata anziché in carta chimica; quest’ultima, oltre ad essere un rifiuto indifferenziato che contraddice la strategia rifiuti zero adottata dal Comune, contiene bisfenolo-A, interferente endocrino nocivo per la salute.

Il sito Internet www.lacircolare.it dev’essere ottimizzato per la navigazione tramite cellulare e vi deve essere pubblicata la Carta dei servizi, da rendere disponibile anche sui bus.

Si deve istituire un’apposita navetta, possibilmente elettrica, per collegare via Roma con il centro storico alto, transitando per via San Francesco Nuovo e via Annunziata.

Gli orari dei bus per la stazione ferroviaria di Monte S. Biagio devono essere sincronizzati con gli arrivi dei treni per Roma, onde favorire i pendolari provenienti da sud; devono essere adeguati costantemente alle modifiche degli orari Trenitalia, così come devono essere costantemente aggiornati il sito Internet www.lacircolare.it e gli orari affissi alle paline, dando un nome alle diverse fermate e stabilendo per ognuna l’orario di percorrenza approssimativo. I tabelloni elettronici distribuiti sul territorio devono essere sfruttati maggiormente per fornire informazioni su orari, traffico, incidenti ed eventuali scioperi.

Potrebbe essere istituita una linea per la stazione ferroviaria di Priverno (magari raggiungendo anche l’Abbazia di Fossanova per promuovere il turismo), passando per i centri urbani di La Fiora, Frasso, Capocroce, Gavotti e favorendo così gli spostamenti degli studenti.

Vanno introdotte corse notturne Cotri il venerdì ed il sabato, con sconti per gli under 26, per favorire i collegamenti con le discoteche e ridurre gli incidenti che coinvolgono i giovani.

La Cotri, oltre a predisporre un questionario da sottoporre agli utenti per valutare la qualità del servizio e raccogliere suggerimenti, potrebbe realizzare un’app e creare un profilo Twitter per favorire le comunicazioni in tempo reale, magari anche tramite messaggistica SMS o Whatsapp.

Infine, la Cotri dovrebbe migliorare l’accessibilità per i disabili del proprio sito Internet ed istituire un servizio bus per disabili a chiamata.

Presidente venga qui! La petizione di Left chiede a Mattarella di visitare i luoghi del caporalato

Dal sito Internet https://www.left.it/2016/09/08/presidente-venga-qui-la-petizione-di-left-chiede-a-mattarella-di-visitare-i-luoghi-del-caporalato/

PRESIDENTE VENGA QUI! LA PETIZIONE DI LEFT CHIEDE A MATTARELLA DI VISITARE I LUOGHI DEL CAPORALATO

Rignano Garganico, Ragusa, Villa Literno, la provincia di Latina. Ma anche i posti che non ti aspetti, da Nord a Sud, e le forme meno eclatanti di discriminazione e violazione dei diritti dei lavoratori, migranti e non. Il caporalato, con la filiera dello sfruttamento di cui è parte, è un fenomeno che ormai pervade l’intero Paese.

Per questo Left ha promosso una petizione su Change.org, cui stanno aderendo diverse associazioni, testate giornalistiche e realtà che si occupano di lotta allo sfruttamento (ne daremo conto in maniera dettagliata nei prossimi giorni), è un invito rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a visitare i ghetti italiani, che Left continuerà a raccontare ospitando storie di denuncia e di reazione insieme a contributi di riflessione.

«Forse è il caso che lo Stato faccia la sua parte non solo dal punto di vista legislativo ma anche nella sua funzione di cura, vicinanza e osservazione» recita la petizione. Da qui la richiesta al Presidente della Repubblica di recarsi nei territori per incontrare «chi da tempo si ritrova al fronte di questa battaglia», con la richiesta di far «giungere in questi luoghi il messaggio del Paese che include e che non tollera alcuna forma di schiavitù».

La petizione si può firmare qui: https://www.change.org/p/presidente-della-repubblica-sergio-mattarella-presidente-mattarella-venga-a-incontrare-gli-schiavi-del-caporalato?utm_source=embedded_petition_view.

Gomme bucate per difendere gli indiani

Dal settimanale gratuito Il Caffè n. 373 (dall’8 al 14 settembre 2016)

GOMME BUCATE PER DIFENDERE GLI INDIANI

di Bianca Francavilla

«Due gomme dell’auto squarciate. Sarà stato un animale senza dubbio». Vittima della chiara intimidazione avvenuta nei giorni scorsi è Marco Omizzolo, conosciuto da tutti perché al fianco degli indiani sikh nella loro lotta alla conquista dei diritti. L’ironia della sorte ha voluto che i cattivi che solitamente se la prendono con la comunità stanziata a Latina abbiano scelto lui. Non è la prima volta: Omizzolo ha già ricevuto altre minacce velate ed esplicite. Tutte denunciate alle forze dell’ordine.

È conosciuto da tutti come l’eroe degli indiani sikh. Cosa l’ha spinta a prendere a cuore la loro categoria?

«In primis, non sono un eroe. Questo è un aspetto fondamentale. Sono un sociologo originario della provincia di Latina che sulla comunità indiana pontina ha condotto la sua ricerca di dottorato. Sono entrato in un “mondo” complesso in cui a volte sfruttato e sfruttatore si confondono, in cui la stessa consapevolezza delle persone di essere sfruttate viene meno o è poco considerata. Basti pensare che almeno fino a tre anni fa il termine e concetto di caporale non era presente nel vocabolario e cultura indiana. Mi impegno su questo tema insieme alla cooperativa In Migrazione, di cui sono presidente, perché considero sbagliato un sistema di produzione e di potere fondato sulla prevaricazione, sull’illegalità, sullo sfruttamento. Per questa ragione ho deciso di unire alla mia attività di ricercatore quella del giornalista di inchiesta e propriamente lavorativa della cooperativa. Lo scopo è combattere lo sfruttamento e il caporalato per rendere la provincia di Latina e il modello agricolo e poi sociale di riferimento migliore, ossia pienamente legale, includente e civile per tutti, italiani inclusi».

La provincia pontina conta una popolazione di circa 30.000 indiani sikh impiegati nell’agricoltura. Eppure, prima dell’interesse suo e del sindacato FLAI CGIL sembravano invisibili. Perché?

«Perché vivevano ai margini sociali, da intendere non solo come abitanti degli spazi rurali ma anche ai margini della nostra riflessione, attenzione e rete sociale di riferimento. Erano sfruttati ed esclusi dai processi di partecipazione sociale e civile del paese. Questo generava un corto circuito che li esponeva ancora di più alle mire di sfruttatori, trafficanti e caporali, che tengo a sottolineare, sono sia italiani che indiani che appartenenti ad altre nazionalità. Non esiste un discorso etnico o nazionalistico in questo caso. Esistono sistemi di potere e di interessi costituitisi che producono sfruttamento e illegalità. La loro marginalità ed emarginazione era ed è una delle ragioni del loro sfruttamento».

Nel luglio 2015 è terminato il corso di italiano che, per loro, significava molto più che alcune nozioni di grammatica. È stato bruscamente interrotto e dalla Regione non sono più arrivati fondi. È così poco importante permettere ai 30.000 indiani di integrarsi?

«Quel progetto, denominato Bella Farnia, è diventato best practice per il CNR, riconosciuto di livello internazionale per come era stato progettato, organizzato e per la metodologia applicata tanto da aver attirato l’attenzione della stampa tedesca e danese, oltre a quella nazionale. Abbiamo costruito un legame profondo e intenso con molti lavoratori e lavoratrici, sino a portare alle prime denunce contro caporali e datori di lavoro, peraltro di aziende di rilevanti dimensioni e di livello internazionale. Per questo progetto la relazione con la Regione Lazio è stata fondamentale e va ripresa quanto prima. È chiaro che non basta un progetto di sei mesi per affrontare il tema e dare un contributo forte al suo superamento. Servono progetti professionali e di lungo periodo. Non è rilevante che li faccia In Migrazione, esistono diverse realtà qualificate. L’importano è che vengano adeguatamente finanziati, realizzati con professionalità elevate e abbiano un respiro lungo. Il rischio altrimenti è di deludere le aspettative di chi ha avuto il coraggio di denunciare e di fidarsi di noi».

C’è un giro di droga taciuto dietro lo sfruttamento degli indiani nei campi?

«Esiste il problema dell’utilizzo di sostanze stupefacenti e soprattutto bulbi di papaveri dietro lo sfruttamento lavorativo che vede un’alleanza perversa tra alcuni indiani e alcuni italiani. Questo tema è stato denunciato con il dossier di In Migrazione “Doparsi per lavorare come schiavi”. Le storie raccontate sono drammatiche e continuiamo a raccoglierne durante i nostri incontri e assemblee coi lavoratori. Le azioni delle forze dell’ordine sono state fondamentali. Ci sono stati importanti arresti. Ma è necessario costruire una serena e collaborativa alleanza tra le istituzioni, le realtà associative più impegnate sul tema, i sindacati e le categorie datoriali per sconfiggere una piaga che rischia di trasformarsi presto in una nuova forma di criminalità organizzata con implicazioni gravi sul piano del lavoro, dei diritti e più in generale della legalità».

Lei insegna agli indiani a non abbassare la testa di fronte a chi li comanda. Ma la settimana scorsa è stato lei a trovare le gomme dell’auto bucate. E non è la prima volta che riceve minacce.

«È vero e continuiamo a non abbassare la testa. Quell’episodio è stato subito denunciato in Questura. Non è la prima volta che capita. In passato ci sono stati episodi analoghi, compresa una “macchina del fango” che mirava a denigrare la mia persona e i sindacati. Ogni episodio è stato denunciato, ogni minaccia diretta o via social è stata denunciata anch’essa e continueremo a farlo. Devo a questo riguardo ringraziare quanto hanno manifestato solidarietà e vicinanza alla mia persona. È stata la dimostrazione che stiamo lavorando nella direzione giusta e che il muro di indifferenza che circondava questo tema fino a qualche anno fa è gravemente lesionato. Per abbatterlo completamente è ora necessario accelerare nel contrasto sociale e poi giudiziario allo sfruttamento lavorativo e ad ogni crimine ad esso connesso».

Due euro l’ora e oppio per non faticare

Gli indiani sikh stanziali nella provincia pontina sono circa 30.000. Risiedono soprattutto nel quartiere Bella Farnia di Latina e raggiungono le aziende agricole dove lavorano rigorosamente a bordo di una bicicletta. Il loro guadagno medio è di due euro l’ora e spesso, per sopportare le fatiche fisiche, fanno uso di sostanze stupefacenti di tipo oppiaceo. Negli ultimi anni, grazie all’interesse di Marco Omizzolo, di In Migrazione e del sindacato FLAI CGIL hanno iniziato ad alzare la testa e protestare contro i caporali che si approfittano di loro.

Cosa potrebbe fare la politica?

«Decidere in primis – spiega Omizzolo – di impegnarsi su questo fronte, anche a costo di perdere in una prima fase qualche decina di voti. In Regione Lazio riposa una legge contro il caporalato da anni. Crediamo sia arrivato il tempo di rivederla, migliorarla se possibile, e approvarla. Si devono rivedere i servizi sociali, migliorare la collaborazione tra tutte le realtà istituzionali, migliorare le performance dell’Ispettorato del Lavoro, collaborare attivamente con le categorie datoriali. Ricordo che esistono due studi di grande importanza internazionale a tale proposito, come quello “Agromafie caporalato” della FLAI CGIL e “Agromafie” dell’Eurispes e Col diretti che ogni anno accendono un riflettore sul pontino. È tempo di unire gli sforzi per migliorare una condizione diventata insopportabile e sempre più tesa. Il ruolo della politica è dunque fondamentale, a partire dalla Regione e dai Comuni interessati dal fenomeno».

La vera misura strutturale per la mobilità sostenibile: il car sharing

Un ritornello che torna spesso nelle sterili polemiche politiche dettate dal famigerato “gioco delle parti”, è quello delle «misure strutturali e di lungo periodo».

Chi governa, stando a quanto sostiene chi fa opposizione, attua sempre misure “d’immagine” e di breve periodo, non risolvendo in profondità i veri problemi.

Ecco, quel discorso si attaglia benissimo alla Settimana europea per la mobilità sostenibile, che quest’anno si terrà dal 16 al 22 settembre.

Infatti, dalle FAQ (frequently asked questions) pubblicate sul sito del Ministero dell’Ambiente (http://www.minambiente.it/pagina/faq-ladesione-alla-settimana-europea-della-mobilita-sostenibile-1), dalla domanda “Quali sono i criteri per la partecipazione alla Settimana Europea della Mobilità?”, si evince che:

«I criteri per partecipare alla Settimana, definiti anche golden criteria, sono tre:

a) organizzare una settimana di attività;

b) attuare almeno una nuova misura a carattere permanente;

c) prevedere la giornata “In città senza la mia auto”.

Gli Enti partecipanti possono liberamente scegliere uno o più criteri, fermo restando che le iniziative e le attività realizzate abbiano come punto di riferimento il focal theme scelto per l’edizione annuale».

Il focal theme per quest’anno è «mettere in evidenza quanto la pianificazione intelligente e l’uso dei trasporti pubblici possa rappresentare una grande fonte di risparmio economico per le Pubbliche Amministrazioni e per i cittadini, oltre che un’importante occasione per sostenere la crescita economica locale».

Pianificazione intelligente dei trasporti, quindi, con risparmio economico per le Pubbliche Amministrazioni e per i cittadini.

Tutto ciò, però, seguendo i golden criteria della Settimana.

I quali, nel microcosmo compreso tra Porta Napoletana e Badino che risponde al nome di Terracina, si traducono in:

a) dare visibilità ad un assessore che spesso di viabilità e trasporti non ne capisce niente, il quale di conseguenza…

b) si rivolge alla società civile ed alle associazioni, le quali, a loro volta, prima si confrontano in interminabili riunioni-fiume e poi avranno il loro agognato momento di gloria, con il risultato finale che…

c) non si adotterà alcuna misura strutturale e di lungo periodo.

Il Terracina Social Forum, nei prossimi editoriali, illustrerà nel dettaglio quali sono le sue proposte per il tema della viabilità e dei trasporti, mentre nel frattempo si limita ad indicare una semplicissima misura strutturale facilissima da realizzare: l’attivazione del car sharing, possibilmente su base intercomunale e possibilmente con una flotta di auto elettriche, d’intesa ed in collaborazione con i Comuni vicini.

Togliere auto dalle strade. Possibilmente auto con a bordo un’unica persona: il conducente.

Ridurre le probabilità di incidenti stradali.

Garantire risparmi economici ai cittadini.

Fornire un “mercato” alle case automobilistiche stremate dal calo delle vendite (però era anche ora che ciò avvenisse…).

Il tutto con un’unica, banalissima, misura strutturale.

Esattamente come stanno facendo tantissime altre città italiane.

Ma, lo sappiamo, Terracina è un microcosmo a sé.

Perché?

a) Perché vige lo slogan «Terracina ai terracinesi»;

b) perché con slogan del genere la classe dirigente, intesa in senso lato, non sarà mai lungimirante e, di conseguenza…

c) non saranno mai adottate misure strutturali e di lungo periodo.

Terracina ai terracinesi!